«Straordinario docente e impareggiabile maestro», «ispiratore e mentore» di giovani talenti: così è stato definito Adriano Bimbi ne L’arte nei palazzi e nelle piazze del Mugello di Stefano Tagliaferri e Giampiero Mongatti, rispettivamente presidente e assessore alla Cultura della Comunità Montana del Mugello.

In tutti questi anni, egli si è dedicato anima e corpo ai propri “ragazzi”, i suoi allievi sono sempre stati messi davanti a tutto. Ha così dimostrato di possedere, accanto alle indubbie doti di grande artista, anche quelle di autentico e generoso didatta e pedagogo.

La scultura primitiva di Adriano Bimbi

Ciò che stupisce in Bimbi è la disinvolta, costante capacità di unire l’attività dell’insegnamento a quella primaria e vitale di scultore. L’abilità di coltivare e di sviluppare quel «formalismo estatico», quel «monumentalismo disincantato», quell’attitudine ad «affrontare la Modernità senza impacci, senza piombo nelle ali» di cui parla lo storico dell’arte Antonio Paolucci in Rocche e scultori contemporanei: il primitivismo, prima di tutto.

Primitivismo vuol dire che Adriano Bimbi, artista figurativo, ha scelto di usare la lingua di prima e di sempre. Le figure umane di Adriano somigliano «ai remoti fondatori di stirpi, genti di primordi fantasticati, lontani mille miglia dalle bellurie decadentistiche».

La visione che sottende alle immagini chiuse e severe di Bimbi trascorre dalle sofferte consapevolezze di un umanesimo incompiuto quale caratterizza i tormentati decenni di questo fine millennio. Alla rappresentazione dell’uomo si aggiunge la figurazione paesaggistica, comunicata attraverso la scultura in maniera assolutamente originale.

È la «stereometria delle case isolate», l’«orgoglio rurale, toscano», la «plasticità degli alberi radi» e l’«eventualità fluida di nuvole» cui accenna il grande critico d’arte Enrico Crispolti nel succitato Più lontano da qui.

Nato a Bibbona nel 1952, Adriano ha studiato all’Accademia con Fernando Farulli, ha trovato il suo vero e proprio mentore in Mario de Micheli, che ne Le avanguardie artistiche del Novecento scrisse:

“L’importante è non far divenire “gusto” o “maniera” quel che è stato prodotto dalle avanguardie: si cadrebbe nell’errore più grande, queste sono nate proprio come antitesi di gusti e mode.”

Come nella produzione artistica ogni opera deve essere autonoma e autentica e nell’insegnamento dell’arte il maestro deve innanzitutto istruire l’allievo a far da sé, a imporsi le proprie regole.