Ecco i nomi dei dieci giovani artisti, allievi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, che si sono cimentati nella realizzazione del progetto portato avanti dall’azienda «Rosss».
Le opere, dipinte durante un’estate rovente, all’interno degli spazi dell’azienda manifatturiera, sono descritte dalle puntuali parole dei professori dell’Accademia: Mauro Pratesi e Susanna Ragionieri.

Il punto di vista di dieci giovani artisti sull’azienda «Rosss»

Stefano Cesarato

Stefano Cesarato non cambia il suo interesse per le macchine e gli attrezzi meccanici. Riesce a farli parlare, a dare loro una visione poetica, riscattandoli da una interpretazione sorda e cupa.

Ingranaggi, cerniere, pezzi di lamiera, oggetti metallici prendono vita e acquistano una loro autonoma poesia, distaccandosi dalla sorda funzione originaria per dialogare con una nuova realtà. Sembra farci capire con le sue opere che questi oggetti, misteriosi quanto opprimenti, hanno un loro battito, un lievito poetico che egli invita a cogliere in un momento rarefatto di magica estraniazione.

Oxana Tregubova

Oxana Tregubova ha realizzato una moltitudine di ritratti eseguiti con tecnica rarefatta, prevalentemente grafica, che sembra quasi incisione, ma con forte senso pittorico.

Le sue figure ritraggono le persone che hanno attirato la sua attenzione all’interno della fabbrica, dove il suo sguardo attento è riuscito a scavare dentro l’umanità degli esseri come delle cose. Essa rappresenta nei volti di operai, un riflesso del suo stesso sentimento: ogni ritratto è dunque un frammento di sé.

Jacopo Ginanneschi

Jacopo Ginanneschi, devoto a una pittura del naturale, ragiona qui in termini di spazio analogico; per lui «la fabbrica somiglia a una pala d’altare quattrocentesca» con «una forma rettangolare sotto e una forma a semicerchio sopra».

L’alluminio prende il posto della carta, spesso usata per studi all’acquerello, e ne traduce la chiarità in lucentezza argentea dai passaggi soffusi e radianti. Emerge nella lettura metafisica degli spazi industriali, la radice dechirichiana.

Angela D’Ospina

Nei lavori di Angela D’Ospina affiora la suggestione di spazio sacro che rammenta «la luce di una chiesa», impossessandosi delle composizioni, con effetti di propagazione veloce e misteriosa nei forti contrasti.

La pennellata corre e quasi dilaga sulla superficie metallica, sfruttandone a pieno la levigatezza. Ma una gabbia prospettica la contiene con un rigore severo e astraente quasi a far dell’incisione con la pittura. La fabbrica diventa un paesaggio dell’era terziaria, precedente all’avvento dell’uomo, un palinsesto su cui leggere tracce di passato e ipotesi di futuro.

Francesco Pirazzi

Francesco Pirazzi sembra aver carpito che è nella visione poetica che si stabilisce il vero senso dell’opera e riesce a carpire poeticamente l’afflato intimo e personale del lavoro umano, anche quello più faticoso e viscerale, relegando a una visione nitida e cristallina la composizione dell’uomo nel proprio rapporto con l’oggetto meccanico: ne deriva una visione che trascende il reale per assurgere a elegia poetica del crudo lavoro.

Selena Maestrini

Selena Maestrini ha saputo incanalare nelle piccole dimensioni l’energia necessaria a trasformare ogni composizione in un microcosmo di folgorante indipendenza. Sono frammenti di poesia, vere e proprie illuminazioni.

Questa volta ha lavorato in «uno spazio esente da natura», come supporto le spesse lastre di metallo usate per gli scaffali tagliate a misura; ne è risultata «una liberazione della struttura», l’esaltazione astraente e pura del ritmo, ora prospettico, ora lineare, che la combinazione con il colore o con calcolatissime fioriture di ruggine rende più fragile e umana.

Miriam Marafioti

Miriam Marafioti disciplina con decisione lo spazio a partire dal proprio sguardo che raggruppa e scandisce in dittici di grandi dimensioni gli interni immensi con i macchinari in penombra, e vi contrappone gli esterni in pieno sole.

È qui che il colore del cielo diventa uno smalto industriale, duro e brillante, mentre il rosso dei metalli sembra trasmettere ancora tutto il calore di un’estate rovente, passata a dipingere all’aperto, proprio lì sul posto, senza riparo e con ostinazione.

Cecilia Cirillo

Cecilia Cirillo compone fotografie analogiche, ma della stampa rimane solo il senso di matrice e quasi di sindone contemporanea; un processo ostinato di riscrittura dell’immagine le riconduce infatti al dominio della pittura che trasforma alla fine in scaglie di luce, buio screziato di scintille, e frequenze di ritmi intermittenti, ogni stilla dei suoi spazi brulicanti.

Come Cecilia sa bene, in palio c’è la verità: si tratta di capire e di parlare della verità.

Elena Shaposhnikova

La pittura di Elena Shaposhnikova prende avvio con espressioni pacate e poeticissime per affondare poi in ritmi pesanti e densi di puro metallo vivo, ritmi incalzanti e urlati, che accendono il cuore e i sensi. Ecco che la sua pittura, apparentemente pacata, giunge a pennellate e colori di forte sensibilità e vigore che mostrano un’artista già ampiamente decisa, matura e pienamente formata, capace di ampia poesia.

Luca Ceccherini

Luca Ceccherini ha un temperamento introverso, a tratti indecifrabile. Nelle sue opere niente è figurativo, anche laddove sviscera l’uomo nel suo essere vero e drammatico, con potenti distorsioni che fanno emergere la forza isolata dell’individuo con una potenza assai rara e inconsueta in un giovane di poco più di vent’anni.